Descrizione
Ironia, sarcasmo, acume potrebbero essere i primi aggettivi possibili per “5 in condotta” il nuovo lavoro discografico dei Virtuosi di San Martino, appena uscito per la Polosud.
Quindici brani che danno vita a un vero e proprio bestiario di personaggi e situazioni contemporanee, testimonianza di uno spettacolo teatrale in tournée da ormai due anni. Brani rodati, dunque, già apprezzati da pubblico e critica.
E così i protagonisti fantastici quanto reali creati da Roberto Del Gaudio prendono vita accompagnati dal “cocktail sonoro” allestito da Federico Odling. Citazioni musicali sempre brillanti e ricche si incontrano e si scontrano con il cantato, con rime improbabili o negate, per un’idea di musica come arte totale tra teatro, canzone, satira di costume, macchietta, sempre in bilico tra il sublime e la provocazione estrema.
Ad aprire il disco è una folgorante «Che sarà» dei Ricchi e Poveri trasformata in coro alpino, poi però, cambia e la consueta atmosfera cameristica dei Virtuosi incontra un sound elettrico per «Pagatemi» che mette all’indice il nuovo star system artistico, politicamente s-corretto.
In «La femminista», «La papessa» e «Lo sforzo democratico» si vedono i “nuovi mostri” dei nostri tempi, ideali divenuti stereotipi per poi sgretolarsi davanti alla scoperta del comodo, del piacevole, dell’utile. «Ventitrè» se la prende con un professore di Filosofia morale mentre il tono cambia con «La storia di uno di noi» e «Nun è pecchèto», canzoni nelle canzoni, parodie rispettivamente di Celentano e Di Capri, pugliese per l’occasione.
Non manca l’humor nero in «Lo zecchino di piombo», povero sventurato che ballando ballando salta in aria su una mina.
«’O liberista ’nnammurato», ritrae un imprenditore napoletano che in nome della libertà d’impresa apre una casa di tolleranza a Posillipo.
Il lavoro si conclude con un brano che ha già dato adito a diverse polemiche, «Il grande errore di Adolf»; ed ecco un ebreo che rimprovera Hitler di aver perseguitato la sua gente piuttosto che i napoletani. «È una riflessione sul luogo comune in cui è ridotta la nostra città – riflette Del Gaudio – esaltata o demonizzata, ma sempre in maniera acritica, sino al punto di farci sentire prigionieri di un non luogo, di un lager, esistenziale come culturale. Come Ceronetti, allora, immaginiamo la provocazione estrema, sperando di innescare una reazione, magari un effetto di catarsi. E usiamo l’”Inno alla gioia” di Beethoven trasformato in inno di Scampia, palcoscenico ormai ufficiale della retorica gomorrista».
Recensioni
Ancora non ci sono recensioni.